Una bella storia

 Leggetela come se fosse un sogno, frutto di fantasia, misto tra qualcosa che ti è rimasto fissato in un angolo della memoria, quello che magari desideri, alcune pulsioni rimosse dal Super Io durante la veglia. Entro in una scuola dove sono stata invitata. La vedo da fuori, piccola e dimessa, con l’insegna in cima. Trovo l’entrata che comunque non è centrale: all’ingresso non c’è nessuno, solo tante scarpe messe nelle ampie scarpiere che occupano tutta una parete. Il silenzio è quasi assoluto; non vola una mosca. Mi addentro nel salone centrale; anche lì non un assistente e neanche una voce. Qui ci sono i giubbotti e le cartelle su appendini molto bassi. Giro la testa a destra e vedo nella grande stanza laterale tanti bambini seduti per terra in un ampio cerchio che stanno in silenzio e non fanno assolutamente nulla. Ho paura di disturbarli nella loro inattività e allora vado a sinistra e trovo una specie di cucina con due signore, un bimbo piccolo che non sta fermo, un ragazzo e una ragazza. Mi siedo ad aspettare e il ragazzo mi offre un panino fatto da loro. Dopo poco arriva la persona che mi aveva invitato e mi accompagna nella stanza grande con i bambini seduti a terra. Prendo un cuscino anch’io e mi piazzo dove preferisco un po’ dietro il grande cerchio. Mi guardo intorno: facendo un rapido calcolo ci sono più di 150 bambini dai 3 ai 13 anni che non fanno assolutamente nulla e soprattutto stanno zitti, tutti zitti. Ci sono anche poche signore adulte che fanno lo stesso. Tutto questo, mi domando, quanto durerà? Un bambino vicino mi prende la mano senza guardarmi neanche e continua a fissare davanti a sé e a pensare a chissà cosa. Nessuno dorme, nessuno parla; anche i movimenti sono minimi. Dopo un’ora più o meno, piano piano e seguendo delle indicazioni quasi sussurrate, si alzano tutti e vanno a formare degli altri cerchi più piccoli, sempre seduti sui loro cuscini per terra. Qui c’è qualche interazione in più: mi colpisce una bimba che si masturba spesso, contraendo le gambe con lo sguardo perso, e dopo qualche secondo ritorna tra gli altri. Qui qualcuno parla, parlo anch’io con loro: prendiamo una mappa del planisfero e faccio loro vedere da dove vengo; noi adesso ci troviamo alla “fine del mondo”, i bambini sono di questa terra nel punto più a sud del continente. In sostanza non diciamo niente di importante. Un’altra cosa che mi colpisce è che questi bambini che avranno 7 o 8 anni sono molto autonomi: ripiegano da soli i loro grembiuli e li mettono nelle cartelle, senza che nessuno gli dia indicazioni. Poi passo nella scuola accanto dove ci sono i ragazzi delle superiori. Attività più a gruppi. Conosco una ragazza di Torino che a casa frequenta la quarta liceo artistico ed è qui per 6 mesi con un progetto di Intercultura. Certamente una bella differenza! Queste sono le esperienze che a quell’età cambiano la prospettiva del mondo e del prossimo! A un certo punto sia i piccoli che i grandi, di nuovo seduti in ampi cerchi, ricevono da altri studenti che passano, una fetta di mela, o uno spicchio di arancia, o un pezzettino di banana. I grandi e i piccoli mangiano in silenzio, tutti insieme. Anche quando la scuola finisce è tutto molto particolare: sempre in cerchio si fanno delle danze e, a turno, i bambini e i ragazzi vengono toccati sulla spalla da una giovane. Piano piano prendono le loro cose ed escono. Sempre in silenzio: una bambina mentre aspetta di essere chiamata compie il suo gesto propiziatorio di tenere le dita incrociate. Io, anche se sto sognando, so che dietro tutto ciò c’è un serio piano educativo, sperimentale, innovativo. In una scuola del genere non si danno i voti, non si boccia, ma tutto questo è supportato da un progetto condiviso da tutti e che parte dai primi anni di vita per arrivare ai 18 anni. Io adesso mi sveglio dal sogno e cerco di razionalizzare scrivendo questa bella storia. I sogni non si giudicano! 

Un pensiero su “Una bella storia

  1. Giorgia, aquí, recorriendo tus páginas, hoy con un poco más de tiempo…
    Me interesaría conocer más del contexto de esta historia: dónde fue, qué escuela, qué modelo pedagógico, lo que puedas contarme. Gracias.

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